martedì 22 gennaio 2013

Kurt Cobain, la leggenda iniziò a Roma

Era il 27 Novembre 1989 quando, ancora sconosciuti, i Nirvana salirono sul palco del Piper di Roma e diedero vita ad un concerto sofferto e intensissimo, al termine del quale Kurt Cobain decise di sciogliere la band. Spaccò la chitarra e minacciò di buttarsi giù dalle casse, spiega Bruce Pavitt, il fondatore della Sub Pop Records, che li mise sotto contratto quando ancora suonavano a Seattle di fronte a poche persone.
A marzo Pavitt pubblicherà Experiencing Nirvana, un prezioso racconto fotografico che ricostruisce le tappe più importanti della band grunge per eccellenza: le paure, i timori, i ricordi e anche il crollo al Piper, è tutto messo nero su bianco, corredato da scatti inequivocabili e memorie di un uomo che ormai non c’è più.
Il mattino seguente, racconta Pavitt, Cobain era deluso e convinto di terminare l’esperienza con i Nirvana, ma lo stesso discografico lo accompagnò a fare una passeggiata per le vie di Roma: visitarono la Cappella Sistina, il Colosseo, San Pietro e Cobain rinacque.
“Kurt era un tipo ultrasensibile, introverso, e quel giorno fu speciale perché si aprì completamente. Era esausto e si rigenerò camminando fra le rovine. Lo convinsi che doveva riformare la band e proseguire il tour. Si rilassò e al Colosseo scherzammo immaginando il giorno il cui i Nirvana avrebbero riempito di pubblico un’arena simile. Alla fine Kurt comprò una chitarra nuova in un negozio in zona Monti e tutto ripartì da lì”.
Roma è stato l’inizio e la fine di un genio tormentato come Kurt Cobain, che un mese prima della sua morte, venne proprio nella Capitale per trovare un po’ di pace. Lo raggiunsero all’Excelsior di Via Veneto la moglie Courtney Love e la piccola Frances Bean, ma quella notte, il cantante andò in overdose, per poi morire il 5 aprile 1994 autoinfliggendosi un colpo alla testa.
Pavitt racconta con amarezza: “Dalla tv appresi che era in un ospedale romano ed io ebbi la sensazione di un déja vu. Sempre a Roma lo avevo visto crollare e in parte mi aspettavo che riaccadesse. Aveva i suoi demoni implacabili, infatti un mese dopo si suicidò. “ “Di lì a poco cambiai mestiere. Se far diventare un artista famoso significava aumentare la sua infelicità, dovevo ripensare la mia vita. Quel novembre dell’ ’89 a Roma feci quello che ritenevo giusto per lui e lo convinsi a continuare la sua carriera. Ma, potessi tornare indietro, sceglierei di nascondere i Nirvana al mondo e gli farei quel benedetto biglietto aereo per tornare a casa”.


(da http://www.funweek.it/roma-eventi-e-news)





Ducati 749 General Lee




(da www.motoblog.it)