martedì 25 ottobre 2011

"Marco è morto come Renzo, mi si è riaperta una terribile ferita"

Renzo Pasolini

Parla Paolo Pasolini

Il fratello del pilota riminese che perse la vita in un incidente a Monza
"Ero alla tv, ho rivissuto il nostro dramma"

Rimini, 24 ottobre 2011 - E’ una ferita che si riapre, inevitabilmente. Un dolore, quello della famiglia di Renzo Pasolini, che nonostante siano passati tanti anni è ancora vivo. Alle 15.31 del 20 maggio del 1973 di una calda giornata primaverile sull’autodromo di Monza scende la cappa della tragedia. Alla ‘curva grande’, subito dopo la partenza, il motociclismo precipita nel dramma, perdendo il 35enne riminese Renzo Pasolini e il 28enne finlandese Jarno Saarinen, due fra i piloti più forti e amati di allora. Un pauroso groviglio di moto, un incidente nel quale rimasero coinvolti ben 14 piloti.

Era la seconda gara di giornata per Pasolini che aveva già disputato in mattinata una splendida 350, appiedato a tre giri dal termine da un grippaggio della sua Hd, dopo aver ripreso il battistrada Agostini con un inseguimento che aveva mandato in estasi i 100mila spettatori del Gp d’Italia. Prima del dramma. Un dramma che è ancora vivo nella memoria della famiglia Pasolini e che la morte di Marco Simoncelli fa tornare amaramente a galla. «Ero davanti alla tv con mia moglie e ho visto tutto in diretta — racconta Paolo Ludovico Pasolini, fratello di Renzo —. Marco è morto nello stesso modo di Renzo, nella stessa circostanza, colpito quasi nello stesso punto. Mi sono venuti i brividi, ho pensato subito al peggio quando ho visto quelle immagini». Come un tragico ritorno al passato. «Avevo capito che era successo qualcosa di gravissimo. Poi l’attesa, la stessa attesa che non posso dimenticare nel giorno della morte di mio fratello. Momenti che restano sempre vivi. Non si dimenticano mai, secondo dopo secondo di quella giornata terribile. Il dispiacere per un ragazzo giovane come Marco e come mio fratello è enorme. Penso ai familiari».

Quel dolore lo sente dentro il fratello più grande di casa Pasolini. «Penso allo strazio di una mamma e di un papà. Fa malissimo e non si può raccontare — racconta con un inevitabile nodo alla gola — rivedendo quelle immagini in tv ho ripercorso quei momenti di tanti anni fa e il dolore è ancora nitido. Questa è sfortuna, sfortuna vera e si può chiamare soltanto con questo nome. Bastava un secondo, un miliardesimo di secondo e non sarebbe stato colpito alla testa, non sarebbe successa una tragedia del genere». A casa Pasolini le moto erano un ‘vizio’ di famiglia. Per il papà Massimo il ‘mutor’ era una ragione di vita e la stessa passione l’aveva tramandata ai figli in maniera naturale, quasi fosse una questione di genetica. «Una passione che resta, nonostante tutto». Paolo aveva visto muovere i primi passi di Simoncelli. «Lo conoscevo fin da bambino quando correva in zona — racconta — aveva la stoffa giusta». La tv ieri mattina l’ha spenta subito Tony Pasolini, cugino di Renzo. «Appena mi sono reso conto di quello che era successo — spiega — ho spento tutto e sono uscito di casa. Sono passati tanti anni dalla morte di Renzo, ma certi dolori non si superano mai. Da quella volta non sono più entrato in un autodromo e non ho più messo il sedere su una moto». Il dolore del fratello Paolo è identico a quelle delle sorelle Gabriella e Laura. La morte di Renzo aveva fatto piombare il silenzio a Rimini. Un campione non c’era più, ma soprattutto un amico di tutti.

E qualche anno prima, la riviera era stata sconvolta anche da un altro dramma, sempre sulle due ruote. Era il 4 aprile del 1971, quando nel circuito ‘Perla verde dell’Adriatico’ a Riccione, nella corsa delle 350 sotto un vero e proprio diluvio, cadde e perse la vita il 32enne di Gussola, Angelo Bergamonti. Il pilota ufficiale della Mv Agusta, compagno di squadra di Giacomo Agostini, era morto dopo uno schianto terribile strisciando per un centinaio di metri sull’asfalto e schiantandosi nelle balle della ‘rotonda’. Bergamonti era stato subito trasportato all’ospedale di Riccione, poi, date le condizioni disperate, al ‘Bellaria’ di Bologna dove morì poco prima della mezzanotte.


di DONATELLA FILIPPI


(da http://www.ilrestodelcarlino.it/rimini/)

Marco Simoncelli

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