martedì 29 marzo 2011

Radical Ducati 9 e mezzo






(da www.motoblog.it)

Non lasciatevi trarre in inganno dal titolo: la moto si chiama proprio così e non si tratta di un giudizio o di un test. Forse il voto vero e proprio se lo è dato lo stesso Pepo Rosell, patron della spagnola Radical Ducati, con questa 9 e mezzo chiaramente ispirata alle Ducati Racing anni ‘70, come la monocilindrica 450 cc. L’ alchimista iberico infatti ha ben saputo miscelare i diversi ingredienti, tutti rigorosamente made in Borgo Panigale.

La base di partenza è il telaio di un M900 del ‘97, modificato nella parte terminale per consentire l’alloggiamento del codino seventies’ style. Dello stesso modello, anche il forcellone monobraccio che, si lega al cerchio a tre razze della prima 916. Entrambi i freni a disco sono affidati all’eccellenza della nostrana Brembo. I collettori sono della tedesca Wolfman e terminano con i due bellissimi Magaphones sovrapposti della Laser.

Completano il look il parafango anteriore modificato dalla MT-03, pedane racing SP, i semimanubri, il serbatoio della 999 e la caratteristica sella monoposto presa in prestito da un’altra perla della stessa Radical: la RAD 02 Cafè Racer. Il rosso del telaio ben si sposa con il bianco delle carene sui cui spicca la tabella portanumero corsaiola.

giovedì 24 marzo 2011

Mike Hailwood al TT del '65: cade a 200 km/h, riparte malconcio e trionfa sotto il diluvio con la MV 500



(da www.motoblog.it)

Accogliamo con piacere la richiesta di onorare Mike Hailwood scomparso 30 anni fa (23 marzo 1981). Lo facciamo riproponendovi un post di amarcord riguardante l’eroico Hailwood al TT del ‘65, cade a 200 km/h, ripartì malconcio e trionfò sotto il diluvio con la MV 500.

All’epoca rientrava nella “normalità” che un pilota caduto e (anche) fratturato in prova prendeva “regolarmente” il via in gara. O quando dopo un pauroso volo in corsa riusciva a riprendere la propria cavalcatura e a ributtarsi nella mischia senza … leccarsi le ferite. Chi scrive queste note ha visto piloti gareggiare, dopo incidenti con fratture (braccio, clavicola ecc.) subìti nella corsa disputata due ore prima, in un’altra cilindrata. Pazzi? No. Smisurata passione (per tutti) e impellente necessità (per molti) di portare a casa … la diaria della seconda partenza …

Amarcord fa un salto indietro, nel 1965. E’ l’anno del debutto di Giacomo Agostini con la MV Agusta nelle 350 e 500. Il centauro di Lovere guida per la prima volta in corsa la mezzo litro di Cascina Costa nell’ouverture tricolore del 19 marzo all’autodromo di Modena. Vince a mani basse, senza avversari, anche se cade all’ultimo giro. Il bello avviene la settimana dopo sul tracciato rivierasco di Riccione dove per la prima volta il numero uno della MV Mike Hailwood (già quattro volte campione del Mondo, 10.000 sterline d’ingaggio annui!) fa la “brutta” conoscenza di Mino.
E’ il primo match (finirà 42 a 30 a favore di Mike) e il nuovo poulain del Conte Agusta batte il fuoriclasse inglese. E’ l’apoteosi. Divampano le polemiche. Nasce il mito di Ago. Pochi giorni dopo inizia il mondiale e Agostini, pilota straordinario e di grande intelligenza, capisce che è meglio fare una stagione di apprendistato dietro l’illustre caposquadra. Ma nella corsa più dura e blasonata, al Tourist Trophy dell’Isola di Man, arriva l’occasione per il colpaccio.

A metà gara, in una giornata del diavolo (acqua, grandine, nevischio e nebbia), Hailwood al comando delle 500 incappa in una spettacolare caduta sui 200 all’ora. Evita miracolosamente alberi, pali e muretti e dopo una lunga strisciata sull’asfalto finisce fra il pubblico assiepato ai bordi del micidiale tracciato. Mike, disteso sull’asfalto sotto la pioggia battente, è stordito, ha la tuta a brandelli, il rosso del sangue marca il nero del cuoio. (Solo più tardi si saprà di quattro costole, un dito della mano e due dita del piede fratturati, oltre alle escoriazioni varie).

Qualcuno gli porge una boccetta di whisky, gli passano una… sigaretta accesa, tutti lo acclamano e lo incitano. La notizia che Agostini ha nel frattempo guadagnato la testa della corsa lo spinge come una molla a rimettersi in piedi e a sollevare la moto (la MV 500 4 superava i 200 kg!) per tentare di ripartire. Il motore è fumante e la moto gronda olio e benzina. Il plexiglass della carenatura è a pezzi. Quel che resta viene eliminato con un paio di pugni. A calci il pilota raddrizza il manubrio ed elimina la leva del freno posteriore, penzolante.

Sale in sella, lo spingono in discesa ma il motore recalcitra. Poi finalmente l’urlo rabbioso della “quattro”, anche se la plurifrazionata italiana “perde” un cilindro e viaggia, per i primi chilometri, a “tre”. Alla fine della corsa mancano tre giri (al Classic TT un giro corrispondeva a Km 60,270 !!!) e Mike si getta a capofitto (monogomma Dunlop, la stessa per asciutto e bagnato)) nei dislivelli del Mountain.

Una danza infernale, una mirabile pittura. Quando si dice l’arte di correre in motocicletta! Hailwood lima i muretti in mezzo ai paesi, si arrampica (fino a 750 metri di altezza) nei tornanti in salita fra il nevischio; allo Snaefell una folata gelida dei venti del nord lo ributta quasi a terra; torna a saltare sulla schiena del Ballaugh (sui 220 Kmh); poi giù al “Governor’s Bridge”; infine a 249 kmh piomba sul dritto di Douglas.

Un altro giro così ed è record sul bagnato: 166,500 kmh! (Riguardatevi il giro record di Shanghai sull’asciutto con le 800 MotoGp …). I meccanici della MV sono allibiti. Il pubblico è tutto in strada ad agitare ombrelli, fazzoletti e bandiere. Uno dopo l’altro Mike agguanta i fuggitivi. Un recupero su Agostini in testa, di quasi … 5 minuti!

E’ l’ultimo giro. Agostini è nel mirino, ancora pochi secondi ed è il sorpasso. Ma la quattro cilindri dell’italiano s’ammutolisce e l’inglese vola verso il trionfo e verso il suo quinto titolo iridato. Tagliato il traguardo, Mike sviene fra le braccia dei meccanici.

Una corsa mozzafiato, di cuore e audacia saldati con la tecnica più raffinata e l’intelligenza più viva: un esempio di straordinaria volontà, di indomito coraggio, di voglia di vincere. Questo era “Mike The bike”, il re della massima cilindrata, il fuoriclasse capace di meravigliare sempre e di vincere spesso in tutte le cilindrate, (50, 125, 250, 350, 500 GP e 750 Sbk, con motori a 2 e 4 tempi, monocilindrici, bicilindrici, tre, quattro, cinque, sei cilindri!), 9 volte campione del mondo in moto, un grande anche in auto, un vero gentleman. Forse, con Tazio Nuvolari, il più grande campione del motociclismo di tutti i tempi.

mercoledì 23 marzo 2011

Motosalsicciata a Voltana di Lugo (Ra)

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(da www.romagnalive.com)

Sabato 26 e domenica 27 marzo 2011, a Voltana (Lugo), torna la Motosalsicciata, un appuntamento importante per gli appassionati delle due ruote giunto quest’anno alla sua nona edizione. Per il 2011 previsti spettacoli acrobatici freestyle con una grande rampa istallata in Piazza Unità, dove si esibiranno il quad di Dan9 e Ivan Zucconi, campione italiano FMX freestyle motocross.

Da segnalare, inoltre, i concerti di Bluto Blutarsky Band, Pericolo Generico e Scarf-Ace. Birra, stand gastronomico con specialità, ovviamente, a base di salsiccia ed esposizione moto. Nella mattinata di domenica 27 marzo è previsto il giro turistico, con partenza, alle ore 10,30, da Piazza Unità e sosta, con immancabile buffet, presso Trioschi Moto, a Lugo. L’ingresso è gratuito e, domenica pomeriggio, panino con salsiccia per tutti, sempre a costi zero.

domenica 13 marzo 2011

Alberto Granado, addio al "motociclista" amico di Che Guevara

Una scena tratta dal film "I Diari della Motocicletta"

Una foto recente di Alberto Granado

(articolo tratto da www.motoblog.it)

Per tutti, Alberto Granado, morto pochi giorni fa a 89 anni a l’Havana, era il motociclista di Che Guevara, il compagno di quell’avventura straordinaria del 1952 lungo Argentina, Cile, Colombia, Venezuela, Perù, immortalata dal film “I diari della motocicletta”. Granado era nato in Argentina a Cordoba l’8 agosto 1922 e sulla soglia dei trent’anni convinse l’amico “El pelao” (il futuro Che, allora 23enne studente di medicina) a intraprendere quel viaggio alla scoperta del continente sudamericano, ritenuto da famigliari e amici solo una “innocua fantasia”, ma diventato invece una grande realtà.

Granado amava ricordare che, in effetti, il raid iniziò subito con la fantasia. Alberto e Ernesto pianificarono il percorso sedendo sotto il pergolato di casa, fantasticando sui luoghi in cui recarsi: “Lungo i sentieri dell’immaginazione – scrisse Granado nel suo libro “Il gitano solitario” - raggiungemmo Paesi remoti, navigammo per mari tropicali e visitammo tutta l’Asia “. Ne parlavano rimirando e accarezzando la loro prossima futura compagna di viaggio, la “Poderosa”, una vecchia Norton monocilindrica 500 cc. del 1939 con cui Alberto aveva già compiuto il suo primo giro solitario a San Francisco del Chanar.

Quel viaggio fu alla base della formazione culturale e politica dei due amici, capirono il valore della “conoscenza della realtà” e l’esigenza di “impegnarsi per cambiarla”. Ernesto diverrà il “Che”, il grande rivoluzionario, idealista, leale e dedito nei confronti della causa degli oppressi di tutto il mondo , ucciso a soli 39 anni in circostanze ancora misteriose dal piombo dei militari boliviani, sotto pressioni degli Usa. Alberto vivrà in quella Cuba altalenante fra pochi lampi di luce e molte ombre, serbando per tutta la vita il ricordo del “Pelao” e i sogni e le illusioni di un amico che le vicende della storia hanno trasformato in un mito, nell’icona del rivoluzionario del XX secolo.
La cronaca non ha dato ancora tutte le risposte attorno a questo intellettuale, guerrigliero, leader carismatico e ideologico: certo è che Che Guevara, o meglio, il suo mito, va oltre i limiti delle vicende umane e delle strozzature della politica, rendendolo, nel bene e nel male, sempre attuale.

Per Alberto ed Ernesto l’iconografia della moderna Argentina di allora e più in generale del mondo era soltanto una vernice di superficie: “Una lussuosa facciata, sotto la quale giaceva la vera anima del Paese e del mondo”. E quell’anima era corrotta e ammalata.

I due amici, pur nella loro diversità, nelle loro contraddizioni e nelle loro ombre, hanno sempre cercato dentro se stessi, mai fermandosi all’apparenza e al presente, puntando oltre l’orizzonte: forse non raggiungendo né i sogni né la verità, ma scoprendo o ritrovando se stessi, la propria identità e i propri sentimenti.

In questo la motocicletta non è più solo uno strumento che trasporta due giovani “esaltati” dalla sete di avventura, di conoscenza, di giustizia. Anche la Norton “Poderosa” ha un’anima, permette ai desideri dei due giovani di prendere il volo e di tenersi dentro quell’anelito di libertà che per Alberto ed Ernesto resterà tale.

In verità, è un voler inseguire la felicità, non voler mai smarrire i propri ideali. Sì, il bello è il viaggio, non la meta: partire e non sapere dove andare. E non fermarsi mai, anche quando pensi di essere arrivato.

venerdì 4 marzo 2011

Alberto Granado e la Poderosa

Alberto, il Che e la Poderosa nel 1952

Alberto e la Poderosa nel 2007

Il cubano, amico di Che Guevara, autore del libro da cui è stato tratto il film "Diari della motocicletta" si racconta

Giovane a 85 anni. Nonostante i visibili segni del tempo basta ascoltarlo per trovarsi di fronte un ragazzo pieno di speranze e sogni che ha ancora tanto da dare. Alberto Granado, classe 1922, è stato uno dei più cari amici di Ernesto Che Guevara, con lui ha condiviso su una vecchia motocicletta -la Poderosa- un viaggio che li ha portati a contatto con la miseria, le malattie, le ingiustizie sociali, risvegliando le coscienze e spingendoli ad agire per cambiare il sistema. Di sogni si parla con Granado, che, inseguendone uno, nel 1962 decise di lasciare il posto ben retribuito di ricercatore all'Università di Caracas per alimentare con il suo apporto la costruzione della Rivoluzione in terra cubana. Abbiamo incontrato Granado in occasione dell'inaugurazione della mostra sul Che, alla Casa Giacobbe di Magenta.

Cosa sogna Alberto Granado? E che rapporto può intercorrere fra sogno e rivoluzione?
"Sogno un mondo più giusto, senza ineguaglianze sociali, dove vi sia libertà di parola, libertà nell'essere, libertà nei diritti. La rivoluzione si fa con i sogni, sì, ma l'obiettivo per me è sempre stato quello di realizzarli, evitando di rimanere troppo idealista. Il vero rivoluzionario è colui che possiede l'abilità di trasformare i sogni in cose utili. Mi rendo conto di aver sempre sognato cose impossibili, ma non mi ha mai importato che mi dessero del pazzo. Noto ancora oggi che la società tenda a rifiutare l'utopia, piuttosto che alimentarla. Il mondo è di frequente schiavo dei meccanismi economici, del denaro, della materialità. Ripongo molta fiducia nei giovani: sono stati il cuore pulsante del progetto rivoluzionario, lo sono ancora oggi. Spesso ho avuto la fortuna di vedere la vita superare i miei sogni, fino all'ultimo. Mi capita di avere paura di svegliarmi da un grande sogno..."

Che cosa le manca di più, oggi, di Ernesto Che Guevara? Ci sono stati contrasti con lui? Quale era il suo principale difetto?
"Non ho mai avuto veri e propri contrasti con il Che. La sua intransigenza, la sua fermezza negli ideali, la sua coerenza nel portare avanti il suo progetto rivoluzionario nonostante tutto e tutti, non hanno mai rappresentato un limite nel nostro rapporto, ma, anzi, una risorsa, una ricchezza. Forse, è vero, la sua intransigenza rivoluzionaria paradossalmente lo frenava, quando si trovava di fronte a un codardo: era quasi intimidito, lui, abituato sempre fare e dire quello che gli passava per la testa, non curandosi dei rischi cui andava incontro. Ma non ne voglio fare un eroe o un mito. Ciò comporterebbe lo sminuire di un progetto rivoluzionario, legato non solo a una persona, ma a un intero popolo."

Come è la Cuba di oggi?
"Cuba, nonostante l'embargo per opera degli Stati Uniti, resiste con forza e dignità. La mortalità infantile è più bassa persino degli stessi Usa, Avana ha un centro farmacologico che ha prodotto studi di primaria importanza -e relativi farmaci- contro l'infarto, malattie alla retina e sclerosi multipla. Il sistema universitario, cui accedono migliaia di studenti da tutto il mondo è in ottima salute. Cuba è uno dei paesi con la più alta percentuale di laureati, i medici e luminari cubani prestano servizio a molti paesi sudamericani, molte case sono dotate di pannelli fotovoltaici in grado di sfruttare le energie alternative. Inoltre vi è un maestro ogni venti bambini, anche nelle località più isolate e due canali con contenuti esclusivamente culturali attivi 24 ore su 24."

E cosa ne pensa della commercializzazione dell'immagine del Che?
"Inizialmente avevo un po' di ritrosia, ma, in effetti, meglio far soldi vendendo magliette, camicie e cartoline di un uomo che ha fatto la rivoluzione e ha cambiato il mondo, piuttosto che commerciando armi o petrolio. Inoltre penso che il Che sarebbe solo contento di vedere una sua maglietta indossata da una bella ragazza!"

L'emozione è tanta, il carisma di Alberto è trascinante, la grinta è più unica che rara. Si è intervistato un pezzo importante della storia.


(articolo tratto da /www.milanodabere.it)