(articolo tratto da www.motoblog.it)
Per tutti, Alberto Granado, morto pochi giorni fa a 89 anni a l’Havana, era il motociclista di Che Guevara, il compagno di quell’avventura straordinaria del 1952 lungo Argentina, Cile, Colombia, Venezuela, Perù, immortalata dal film “I diari della motocicletta”. Granado era nato in Argentina a Cordoba l’8 agosto 1922 e sulla soglia dei trent’anni convinse l’amico “El pelao” (il futuro Che, allora 23enne studente di medicina) a intraprendere quel viaggio alla scoperta del continente sudamericano, ritenuto da famigliari e amici solo una “innocua fantasia”, ma diventato invece una grande realtà.
Granado amava ricordare che, in effetti, il raid iniziò subito con la fantasia. Alberto e Ernesto pianificarono il percorso sedendo sotto il pergolato di casa, fantasticando sui luoghi in cui recarsi: “Lungo i sentieri dell’immaginazione – scrisse Granado nel suo libro “Il gitano solitario” - raggiungemmo Paesi remoti, navigammo per mari tropicali e visitammo tutta l’Asia “. Ne parlavano rimirando e accarezzando la loro prossima futura compagna di viaggio, la “Poderosa”, una vecchia Norton monocilindrica 500 cc. del 1939 con cui Alberto aveva già compiuto il suo primo giro solitario a San Francisco del Chanar.
Quel viaggio fu alla base della formazione culturale e politica dei due amici, capirono il valore della “conoscenza della realtà” e l’esigenza di “impegnarsi per cambiarla”. Ernesto diverrà il “Che”, il grande rivoluzionario, idealista, leale e dedito nei confronti della causa degli oppressi di tutto il mondo , ucciso a soli 39 anni in circostanze ancora misteriose dal piombo dei militari boliviani, sotto pressioni degli Usa. Alberto vivrà in quella Cuba altalenante fra pochi lampi di luce e molte ombre, serbando per tutta la vita il ricordo del “Pelao” e i sogni e le illusioni di un amico che le vicende della storia hanno trasformato in un mito, nell’icona del rivoluzionario del XX secolo.
La cronaca non ha dato ancora tutte le risposte attorno a questo intellettuale, guerrigliero, leader carismatico e ideologico: certo è che Che Guevara, o meglio, il suo mito, va oltre i limiti delle vicende umane e delle strozzature della politica, rendendolo, nel bene e nel male, sempre attuale.
Per Alberto ed Ernesto l’iconografia della moderna Argentina di allora e più in generale del mondo era soltanto una vernice di superficie: “Una lussuosa facciata, sotto la quale giaceva la vera anima del Paese e del mondo”. E quell’anima era corrotta e ammalata.
I due amici, pur nella loro diversità, nelle loro contraddizioni e nelle loro ombre, hanno sempre cercato dentro se stessi, mai fermandosi all’apparenza e al presente, puntando oltre l’orizzonte: forse non raggiungendo né i sogni né la verità, ma scoprendo o ritrovando se stessi, la propria identità e i propri sentimenti.
In questo la motocicletta non è più solo uno strumento che trasporta due giovani “esaltati” dalla sete di avventura, di conoscenza, di giustizia. Anche la Norton “Poderosa” ha un’anima, permette ai desideri dei due giovani di prendere il volo e di tenersi dentro quell’anelito di libertà che per Alberto ed Ernesto resterà tale.
In verità, è un voler inseguire la felicità, non voler mai smarrire i propri ideali. Sì, il bello è il viaggio, non la meta: partire e non sapere dove andare. E non fermarsi mai, anche quando pensi di essere arrivato.
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